Rivoluzione a sorpresa: la vera storia dietro la fine dei Mac Intel!

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Quando Tim Cook ha annunciato la rivoluzione di Apple Silicon, cioè l’utilizzo di chip progettati internamente da Apple, basati sull’architettura ARM e prodotti da TSMC a Taiwan, molti hanno tirato un sospiro di sollievo. Era ormai risaputo che Apple stava lavorando a una rivoluzione dei chip per i suoi Mac, dopo averlo già fatto con iPhone, iPod, Apple TV, iPad e altri dispositivi che presentavano chip specializzati per gestire diverse funzioni, come ad esempio le funzioni di sicurezza del chip T2. Era evidente che si sarebbe arrivati ad avere un Mac con un chip Apple Silicon, ma ciò che ancora non si sapeva era come sarebbe stato chiamato e quanto sarebbe stato diverso dai chip utilizzati su iPhone e iPad.

Apple ha scelto di utilizzare una tecnologia opposta a quella di Intel e AMD, puntando sull’integrazione di diverse componenti all’interno di un unico chip con più “strati”. Questa scelta, denominata System on a Chip (SoC), è stata determinata sia dalle esigenze di efficienza energetica e spaziale dei dispositivi più piccoli come i telefoni cellulari, sia dal fatto che Apple integra componenti esclusive che non necessita di rivendere sul mercato delle schede madri e dei computer. Al contrario, i processori Intel vengono venduti ai produttori di schede madri e ai produttori di PC, i quali costruiscono computer parzialmente diversi utilizzando lo stesso processore e lo stesso sistema operativo (Windows), ma differenziandosi nelle scelte architetturali, come ad esempio il tipo di memoria e di acceleratore grafico.

Apple ha adottato un approccio opposto perché i suoi chip sono progettati esclusivamente per i suoi prodotti, muovendosi in una strategia diversa da quella di Intel e AMD, con risultati molto positivi. L’arrivo dei chip Apple Silicon, con la prima generazione di SoC chiamata “M1”, ha superato tutte le aspettative. Questo è dovuto non solo alla qualità intrinseca del prodotto, che ancora oggi è più rivoluzionario della versione successiva M2 (che rappresenta solo un’evoluzione e un affinamento), ma anche al fatto che Intel e i suoi chip erano in una profonda crisi, con il Mac che ne subiva le conseguenze.

Nel corso degli ultimi dieci anni, Intel è stata colpita da una crisi sia dal punto di vista della ricerca e dell’innovazione, che dal punto di vista industriale e manageriale, tanto che il precedente CEO è stato licenziato e al suo posto è stato chiamato Pat Gelsinger, uno dei manager più esperti nel settore dei chip, che ha iniziato la sua carriera proprio in Intel. Tuttavia, nonostante le sue capacità, Gelsinger sta facendo fatica a cambiare le sorti dell’azienda, che sembra essere vittima della sua eredità tecnologica, delle scelte architetturali e del modello di business che hanno reso difficile la sua competitività attuale.

Durante i due decenni dominati dall’economia “Wintel”, basata sull’unione tra Windows e Intel, le due aziende si sono sostenute a vicenda sfruttando la legge di Moore: ogni anno veniva introdotta una nuova generazione di chip più potenti del doppio rispetto a quella precedente, seguita a breve da una nuova versione di Windows che richiedeva ancora più potenza di calcolo. Questo costringeva i clienti a cambiare PC ogni 24 mesi e metteva in difficoltà la concorrenza, in particolare AMD. Tuttavia, Intel ha iniziato a vedere la fine della legge di Moore e ha cercato di rallentarla o superarla attraverso l’introduzione di architetture multi-core, con più nuclei di calcolo. L’idea era che i computer dotati di processori multi-core fossero più efficienti di quelli con un singolo nucleo e una frequenza di clock estremamente alta.

Steve Jobs, dopo aver rimesso in piedi Apple, si trovò di fronte al problema di un consorzio di produttori di chip che non sosteneva più la sua azienda come avrebbe voluto. Motorola non riusciva ad andare oltre la generazione dei processori G4, mentre Intel offriva il suo G5 che, nonostante fosse potente, aveva problemi di consumi e generazione di calore, e quindi veniva utilizzato solo sui computer fissi. IBM, che produceva i microchip ed era un concorrente diretto di Intel, stava investendo in una seconda linea di processori.

Allora Jobs decise di adottare l’architettura x86 di Intel per i suoi Mac, abbandonando i processori PowerPC, che stavano diventando sempre meno competitivi. Nel 2006, Apple annunciò la transizione a Intel, che fu completata entro il 2007. Questa scelta permise ad Apple di avere una piattaforma più performante e avvantaggiata rispetto ai concorrenti, ma allo stesso tempo l’azienda divenne dipendente dalla strada tecnologica scelta da Intel.

In conclusione, l’arrivo dei chip Apple Silicon ha segnato una svolta per l’azienda di Cupertino, mentre Intel ha attraversato un periodo di crisi. Tuttavia, è importante sottolineare che Apple non avrebbe avuto successo senza il contributo di Intel nel passato, e che entrambe le aziende devono affrontare le sfide tecnologiche e di mercato che caratterizzano l’evoluzione della tecnologia dei chip nei prossimi anni.

La vera storia della fine dei Mac Intel

Quando Tim Cook ha annunciato la rivoluzione di Apple Silicon, molti sono stati sollevati. Era ben noto che Apple stava lavorando a una rivoluzione dei chip dei suoi Mac, dopo aver già fatto lo stesso per iPhone, iPod, Apple TV e iPad. La novità era il nome e quanto fossero diversi dai chip usati su iPhone e iPad. Apple ha scelto di integrare diverse componenti all’interno dello stesso chip, in contrasto con Intel e AMD che vendono i loro processori ai produttori di schede madri e personal computer per costruire dispositivi diversi. Questa scelta è dettata dalla necessità di efficienza energetica e di spazio, ma anche dal fatto che Apple utilizza componenti proprie che non devono essere rivendute a produttori di computer diversi. Mentre Intel si trovava in crisi, Apple ha lanciato i chip Apple Silicon, inizialmente con il modello M1, che ha superato le aspettative. Intel ha vissuto una crisi negli ultimi dieci anni, sia dal punto di vista della ricerca e dell’innovazione che dal punto di vista industriale e manageriale. Pat Gelsinger è stato chiamato a guidare l’azienda, ma sta facendo fatica a cambiare il destino di una società che sembra essere vittima della sua eredità tecnologica. Durante l’era “Wintel”, Windows e Intel hanno sfruttato la legge di Moore per spingere i clienti a cambiare PC ogni 24 mesi. Intel aveva trovato una strategia per rallentare la fine della Legge di Moore con l’introduzione di architetture multi-core. Questo approccio aveva interessato Steve Jobs, che stava cercando una soluzione per i problemi di Apple con i processori PowerPC. Tornando indietro nel tempo, nel 1997 Apple era sull’orlo della bancarotta. Steve Jobs è tornato e ha portato con sé il sistema operativo NeXT, che ha dato origine all’attuale macOS. Jobs si è trovato di fronte a un dilemma, poiché i produttori di chip non lo supportavano più adeguatamente. Alla fine, Apple ha deciso di passare ai processori Intel per i suoi Mac.