Nel seguente articolo, analizzeremo le performance del TFR lasciato in azienda e del TFR accumulato nei fondi pensionistici, oltre alle relative tassazioni.
Se sei un dipendente, è probabile che ti sia posto la domanda, al momento dell’assunzione, su quale sia la scelta migliore per gestire il tuo TFR: tenerlo in azienda o investirlo in un fondo pensionistico. È importante prendere una decisione informata in quanto l’opzione di investimento in un fondo pensionistico privato è permanente.
Va ricordato che se il lavoratore non completa il modulo TFR entro sei mesi, il TFR sarà destinato comunque alla previdenza complementare. In questo caso, il fondo di destinazione sarà selezionato secondo specifici criteri stabiliti dal CCNL. È interessante notare che solo il 22% del TFR accumulato tra il 2007 e il 2022 è stato investito in un fondo pensionistico. Ciò che scopriremo successivamente è che, dal punto di vista economico e fiscale, questa è l’opzione più vantaggiosa. Tuttavia, l’anno 2022 ha rappresentato un’eccezione, poiché coloro che hanno lasciato la liquidazione in azienda hanno beneficiato di una rivalutazione del 10%, mentre chi ha scelto la previdenza complementare ha subito una perdita. È importante considerare che una valutazione di questo tipo dovrebbe riguardare non solo l’anno singolo, ma un periodo più ampio nel tempo.
Passiamo ora ad esaminare i benefici e i rischi di lasciare il TFR in azienda o di investirlo in un fondo pensionistico. All’atto dell’assunzione, il datore di lavoro è tenuto a fornire al dipendente informazioni adeguate riguardo alla possibilità di mantenere il TFR “in azienda” o di conferirlo a un fondo di previdenza complementare.
Attraverso una simulazione basata su un’ipotesi di inflazione media del 3%, è emerso che un lavoratore trentenne di una piccola azienda che investe il TFR accumulato e futuro potrebbe ottenere fino al 91% di ricchezza in più. Un quarantenne di una grande azienda potrebbe ottenere fino al 62% in più, mentre un cinquantenne, nonostante la prossimità alla pensione, potrebbe beneficiare di oltre il 40% di ricchezza aggiuntiva.
Il lavoratore deve restituire il modulo TFR2 entro 6 mesi dalla data di assunzione, esprimendo la propria scelta. Se opta per il conferimento alla previdenza complementare, dovrà anche indicare il fondo prescelto. Nel caso in cui il lavoratore non esprima una preferenza, il TFR sarà comunque devoluto alla previdenza complementare.
Se il lavoratore ha già espresso l’intenzione di destinare il TFR alla previdenza complementare in un precedente rapporto di lavoro, potrà solo scegliere di conferire il TFR a una diversa forma previdenziale entro 6 mesi dalla nuova assunzione. Lasciare il TFR in azienda comporta una rivalutazione annuale fissa del 1,5%, aumentata del 75% dell’inflazione. Nel 2022, questo meccanismo ha permesso un aumento del 10%, la cifra più alta registrata dal 1984. Tuttavia, è importante considerare che questa opzione è soggetta a tassazione basata sulle aliquote Irpef, che variano dal 23% al 43%.
TFR: attenzione alla nuova normativa, ma quasi tutti sbagliano e perdono tanti soldi
Questo testo analizza la scelta tra tenere il TFR in azienda o investirlo in un fondo pensionistico, con considerazioni sulle performance e le tassazioni. Se il lavoratore non completa il modulo TFR entro sei mesi, il TFR viene destinato alla previdenza complementare. Solo il 22% del TFR accumulato tra il 2007 e il 2022 è stato investito in un fondo pensionistico. Nonostante alcune eccezioni, investire il TFR in un fondo pensionistico è vantaggioso dal punto di vista economico e fiscale. Viene poi esaminata la scelta tra tenere il TFR in azienda o investirlo in un fondo pensionistico, con una simulazione che mostra come l’investimento del TFR possa portare a un notevole aumento di ricchezza. Il lavoratore deve esprimere la scelta entro sei mesi dalla data di assunzione e specificare il fondo prescelto. Lasciare il TFR in azienda comporta una rivalutazione annuale fissa e una tassazione basata sulle aliquote Irpef.