Il tema della preservazione storica dei videogiochi sta diventando sempre più rilevante, soprattutto nel contesto dell’affermarsi del digitale rispetto al supporto fisico. Un recente studio ha rivelato che quasi il 90% dei giochi classici non è più disponibile in modo legale, un dato che solleva la questione del modo in cui le aziende trattano i videogiochi come forma d’arte. Secondo uno studio condotto dalla Video Game History Foundation insieme al Software Preservation Network, l’87% dei titoli classici viene considerato “criticamente in pericolo” o “completamente non disponibile”. Oggi, per mettere le mani su nove titoli classici su dieci, è necessario avere una collezione personale, visitare biblioteche specializzate nella conservazione dei videogiochi storici o affidarsi a metodi illegali come la pirateria, poiché la maggior parte dei giochi retrò non è più facilmente acquistabile sul mercato.
La definizione di “classico” utilizzata nello studio copre i giochi rilasciati prima del 2010, anno in cui la distribuzione digitale dei giochi ha iniziato a prendere piede. Lo studio si è concentrato su tre ecosistemi videoludici di diversa popolarità: Commodore 64, Game Boy e PlayStation 2. I risultati sono stati davvero sconcertanti: ad esempio, solo il 4,5% della libreria del Commodore 64 è ancora disponibile. Questa situazione, rappresentata da numeri freddi, solleva la necessità di una discussione sulla centralità del videogioco come forma di espressione artistica piuttosto che come semplice prodotto commerciale.
Il videogioco è un’arte che combina aspetti commerciali e artistici, proprio come i libri e i film. Tuttavia, è proprio la sua natura artistica che incentiva a riflettere sull’importanza della sua preservazione storica, considerando che la conservazione è uno dei tratti distintivi dell’arte stessa. Ci si potrebbe chiedere perché le aziende non si impegnino a preservare la memoria storica dei loro vecchi prodotti. Probabilmente, lo sforzo e le eventuali spese economiche non sembrano valerne la pena per loro. Il settore del retrogaming non è ancora abbastanza remunerativo come quello dei nuovi giochi, e l’industria videoludica corre ad un ritmo frenetico, cercando sempre di soddisfare la forte domanda attraverso la continua produzione di prodotti nuovi, compresi remake e remastered. Inoltre, nemmeno tutti i giochi nuovi sono sostenibili, come dimostra la recente tendenza verso il multiplayer, i servizi live e i modelli di business dei giochi per dispositivi mobili. Tutto ciò che è considerato vecchio non viene più considerato fondamentale dalle aziende, che guardano al profitto come priorità assoluta per garantire la propria sopravvivenza. Questo atteggiamento è difficile da comprendere, in quanto sembra che le stesse aziende non considerino le loro creazioni come opere d’arte da conservare, se non quando conviene loro.
La preservazione dell’arte dei videogiochi non può essere considerata un optional. Come abbiamo già sottolineato, la conservazione storica è uno dei tratti distintivi dell’arte in generale. Ogni forma artistica cerca di preservare ciò che può al fine di costruire una solida memoria da tramandare alle generazioni future. Basti pensare ai numerosi siti e opere architettoniche riconosciute come patrimonio UNESCO in tutto il mondo: l’architettura è una forma artistica particolarmente a rischio di essere dimenticata, date le rapide trasformazioni urbane che avvengono nel corso dei secoli. L’architettura rappresenta l’organizzazione dello spazio antropizzato in cui vive l’essere umano, ovvero come l’uomo ha modificato l’ambiente circostante per renderlo abitabile. È fondamentale che ci sia la preservazione di ciò che l’uomo ha costruito nel passato, altrimenti perderemmo una parte essenziale della nostra storia. Nessuno, di fronte al Colosseo, direbbe di abbatterlo per costruire un centro commerciale. Eppure, l’arte non viene preservata per semplice vanità, ma per lasciare una traccia tangibile sulla quale basare la nostra comprensione del passato.
Il videogioco, come altre forme d’arte, è un linguaggio in grado di trasmettere emozioni e messaggi. È un’opera prodotta dagli esseri umani, sia manualmente con la creazione del codice da parte dei programmatori, sia creativamente con le idee di un game director e di uno staff composto da artisti di diverse discipline. Inoltre, i videogiochi ci permettono di guardare al passato e comprendere i progressi tecnologici, storici, sonori ed estetici che sono stati fatti nel corso degli anni ’80 e ’90, poiché questa forma d’arte comprende tutte queste dimensioni. È vero che molte altre forme d’arte hanno perso opere nel corso del tempo. Tuttavia, se un quadro di Caravaggio o della sua scuola venisse ritrovato oggi, verrebbe immediatamente esposto in un museo, mentre nessuno direbbe di bruciarlo perché è vecchio. Al contrario, i videogiochi classici vengono spesso considerati fastidiosi e obsoleti, e non vengono adottate misure per la loro conservazione.
Perché si ha questa percezione del videogioco classico come qualcosa di superato e inutile? La ragione, secondo me, è abbastanza semplice: le aziende vedono il videogioco come un prodotto tecnologico destinato a divenire obsoleto. Da un certo punto di vista, questa considerazione è corretta. Infatti, per giocare a un videogioco è necessario possedere un PC, uno smartphone o una console, oggetti che hanno un ciclo di vita limitato. Di conseguenza, anche il software videoludico diventa obsoleto. Questo vale non solo per i videogiochi, ma anche per altri prodotti tecnologici come i dispositivi elettronici. Ad esempio, Apple non supporta i vecchi modelli di iPhone e Microsoft non rilascia più aggiornamenti per Windows 98. Anche nel settore dei videogiochi, quando un gioco sparatutto diventa superato e viene sostituito dal sequel, i server vengono chiusi. Questo avviene perché i videogiochi devono generare profitto come prodotti commerciali ad alta tecnologia, e l’obsolescenza viene vista come la fine effettiva di quel prodotto. Se un prodotto “muore”, non è più redditizio. La domanda che sorge spontanea è: è giusto vedere il videogioco solo nella sua forma di “oggetto”? Un film non è solo il Blu-ray o l’account Netflix che consente di guardarlo, ma anche il suo significato e il messaggio che veicola. Un quadro non è solo
Sono le aziende stesse a non trattare il videogioco come arte, non curandosi della sua preservazione
La preservazione storica dei videogiochi è un tema che sta diventando sempre più importante, soprattutto perché sempre più giochi vengono distribuiti in formato digitale anziché fisico. Uno studio ha rivelato che quasi il 90% dei giochi classici non è più legalmente reperibile, evidenziando come le aziende non considerino i videogiochi come opere d’arte. Un altro studio ha mostrato che l’87% dei titoli classici è considerato “criticamente in pericolo” o “completamente non disponibili”. Per trovare giochi classici è necessario conservare le proprie collezioni, visitare biblioteche specializzate o addirittura ricorrere alla pirateria. Nonostante ciò, le aziende non si impegnano a preservare la memoria storica dei loro vecchi prodotti, probabilmente perché il retrogaming non è abbastanza remunerativo come i giochi nuovi. Tuttavia, il videogioco è arte e la sua preservazione dovrebbe essere considerata fondamentale. L’arte trascende il mero scopo di intrattenimento ed è un modo per lasciare una traccia della nostra cultura. Mentre altri mezzi artistici vengono preservati, come i quadri in un museo, i videogiochi vengono considerati obsoleti e inutili. Il motivo di questa percezione è che i videogiochi vengono visti esclusivamente come prodotti tecnologici soggetti a obsolescenza. Questa visione mortifica il lavoro degli sviluppatori e non favorisce la preservazione delle opere videoludiche. È importante considerare il videogioco non solo come un oggetto, ma anche come un’arte da preservare per capire il nostro passato e le evoluzioni tecnologiche, storiche ed estetiche che ha portato con sé.